Rubriche

Home               Inizia qui               Leggendo con brio               Emozioni in corso               Parole senza tempo

sabato 24 settembre 2016

Come il miele e il marmo

Le penne cancellabili non mi sono mai piaciute...
...e con loro bianchetti, scolorine e accidenti vari. A mio parere, hanno rovinato generazioni di studenti disabituandoli alla precisione e alla concentrazione, instillando nelle loro fragili menti la malsana convinzione che tanto, una volta fatti, gli errori si possano (anzi, si debbano) eliminare.
Ora, a patto che non diventi la norma, il fatto di sbagliare è assolutamente legittimo (ci mancherebbe altro!)...addirittura necessario, direi...allora, perché farne sparire ogni traccia e collezionare delle pagine di quaderno falsamente immacolate, prive dei segni evidenti degli inciampi in cui strada facendo si è incappati e che sarebbe al contrario più utile rimanessero lì, ben visibili, a ricordare le debolezze, a rimarcare i progressi, a raccontare l'evoluzione di un percorso?

Facciamo adesso un salto indietro di qualche secolo fino all'antica Roma, dove gli scultori avevano l'abitudine di correggere le crepe e le fessure createsi sulla superficie delle loro opere colandovi all'interno della cera; lo scopo era evidentemente quello di regalare ai propri lavori almeno la patina di un'irrealizzata (e irrealizzabile ) perfezione.
"SINE CERA" ("senza cera") era, invece, la dicitura che gli artigiani più esperti apponevano alle loro creazioni migliori, una sorta di autografo che attestasse l'assenza dai capolavori in questione di qualsivoglia forma di contraffazione, un marchio di fabbrica esibito con orgoglio che riconoscesse ai manufatti la grandezza di ogni singola parte, così com'era uscita dalle mani dei suoi artefici, imprecisioni e difetti compresi.

"SINE CERA", dunque, "senza cera".
Pare che proprio da questa espressione derivi il lemma "sincero" (e con lui tutta la sua famiglia lessicale)...in questi termini perlomeno ne parla molto esplicitamente il grammatico latino Elio Donato che in un suo commento al verso di una commedia di Terenzio lo definisce appunto "purum sine fuco et simplex, ut mel sine cera", ossia "puro, senza maschera e semplice, come il miele senza la cera"..."tale e quale" insomma, come il miele estratto dagli alveari e separato dalla cera con cui le api costruiscono le proprie cellette.
Nonostante il disaccordo tra gli studiosi, infatti, i lessici e i dizionari sembrano confermare il protrarsi di questa valenza originaria del vocabolo, abbondantemente riferito a svariate sostanze materiali (oltre al miele, anche all'olio e al latte per esempio, tutti elementi di largo impiego nella prassi religiosa del tempo...di "vino sincero", del resto, si parla e si scrive abitualmente anche nella nostra lingua!), solo in un secondo tempo applicato anche a realtà astratte come l'agire umano e il suo sentire, e associato ad altri concetti di esclusiva pertinenza morale.

Nulla a che vedere, però, con l'idea di un essere genericamente "buoni", "irreprensibili", "eticamente ineccepibili", perché all'opposto della sincerità non c'è la cattiveria, bensì l'ipocrisia...l'ipocrita non è il malvagio, è colui nel quale "la spiegazione sta sotto", "la verità sta dietro" i camuffamenti e le finzioni delle quali egli si fa schermo (non per niente i Greci di un tempo chiamavano così gli attori!).
Molto a che vedere, invece, con il coraggio di mostrarsi in tutta la propria autenticità, esibendo senza reticenza anche le ferite ancora aperte e quelle già cicatrizzate del corpo e dell'anima, leggendo in esse la mappa della propria vicenda fatta di infinite battaglie, vittorie e sconfitte in ugual misura...per dirla alla Dostoevskji, imparando a cogliere anche nei propri cedimenti e nelle proprie mancanze quella bellezza unica, genuina, irripetibile, complicatissima che fa di noi "noi"!

Nessun commento:

Posta un commento