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sabato 7 ottobre 2017

Quando la tua migliore amica è...una capra


Le prime capre in carne e ossa di cui abbia qualche ricordo sono quelle a cui con grande entusiasmo e soddisfazione davo da mangiare in uno dei parchi della mia città nei primissimi anni della mia infanzia.
Con gli asinelli e i pappagalli era decisamente più difficile interagire, ma con le caprette...beh, con loro era così naturale...bastava infilare la manina piena d'erba attraverso i fori della recinzione ed ecco che si avvicinavano senza esitazione alcuna per prendere ciò che tanto generosamente veniva loro offerto.

Nessuna meraviglia, pertanto, quando un po' più grandina le ritrovai sullo schermo del televisore a far compagnia ad una bimbetta tutto pepe di nome Heidi, che con loro addirittura parlava e si confidava trattandole come delle vere e proprie amiche.
Perché diciamocelo, che le capre possano far impazzire i più piccoli è del tutto comprensibile. Tanto per cominciare, non hanno le dimensioni di un cavallo che, seppur non arriva ad intimorire, perlomeno non può non incutere un certo timore reverenziale; il fatto, poi, che siano così inclini a lasciarsi avvicinare (foss'anche solo per un'innata e incontrollabile ingordigia poco importerebbe), ai bambini ispira subito fiducia...piccole nelle dimensioni, assolutamente alla loro portata, con quel buffo verso tremolante, ai loro occhi non possono che risultare simpatiche e socievoli.
Mai, invece, avrei immaginato che un simile animale potesse trasformarsi - grazie al genio di uno straordinario scrittore (a dire il vero, in questo caso, di una straordinaria scrittrice) - in una presenza piena di fascino e di mistero.

Alice Munro
Quello di Alice Munro non è certo un mondo di meraviglie, o meglio, lo è nella misura in cui si considera degna di meraviglia tutta quanta la vita, con le sue luci e le sue ombre, i tradimenti inaspettati e le provvidenziali sorprese, i misteri che nasconde e i segreti che a fatica si trascina dietro, i finali che spesso sono tali solo in apparenza e le infinite domande alle quali non è detto si possa dare risposta.
E' un mondo fatto di tante, tantissime storie che la Munro affida alla forma - da lei tanto amata - del racconto e alle quali, nonostante la brevità, ella riesce a infondere una tale ricchezza e una tale profondità che il lettore non può che esserne rapito, sentendo ampiamente ripagata la fatica di doversi continuamente calare in nuovi contesti e orizzonti, addirittura rammaricandosi di non poter seguire oltre il limite delle "ultime pagine" il destino di tutte quelle incredibili donne.
Perché nel mondo della Munro sono loro le protagoniste indiscusse, il perno intorno a cui tutto ruota, il punto di arrivo e di partenza di ogni viaggio...spose e vedove, madri e figlie, sorelle, amiche, donne di tutte le età, alle prese con le situazioni più disparate (e spesso anche disperate), scandagliate nella profondità dei loro animi, donne che affascinano e incuriosiscono, che viene voglia di proteggere e scuotere dalla loro immobilità, che fanno storcere il naso e reagire con rabbia.

Questo è ciò che rappresentano Juliet, Grace, Lauren, Robin, Nancy e Tess nelle pagine che la loro creatrice dedica a ciascuna nei racconti della raccolta In fuga, tutte indistintamente immerse nel tessuto sociale della provincia canadese dove la stessa Munro (originaria della regione dell'Ontario) è nata e cresciuta, tutte profondamente intrise di un vitale e irrinunciabile contatto con quel mondo naturale e animale che la Munro (proveniente da una famiglia di agricoltori e allevatori) abilmente innalza da semplice sfondo a sostanziale e imponente presenza.

Questo è ciò che rappresentano anche Carla e la sua capra Flora nel primo di quei racconti, quello che all'intera raccolta dà il titolo.
Era stato Clark, il marito di Clara, a portare a casa da una cascina vicina quella piccola bestiola tutta bianca; la gente era convinta che la presenza di una capra fosse rassicurante per i cavalli e così Flora era libera di aggirarsi all'interno del maneggio gestito dalla coppia. All'inizio era stata tutta per Clark, sbarazzina e civettuola come una ragazza innamorata, ma col passare del tempo era per così dire "maturata" e si era avvicinata sempre di più a Clara che la ricambiava a sua volta di un affetto profondo e sincero.
Ad un certo punto era sparita e lo sconforto di Clara per la sua fuga aveva d'improvviso scoperchiato il baratro dell'infelicità che da tempo l'attanagliava e che fino a quel momento era rimasto ben nascosto dietro l'apparenza di una serena e tranquilla routine familiare. La mancanza di Flora aveva d'un tratto fatto esplodere tutta la frustrazione per quella campagna tetra e umida che rifletteva bene la disperazione che la stava divorando, la sua infinita solitudine...per quel marito sposato troppo in fretta, forse per ripicca nei confronti della propria famiglia che, invano, aveva cercato di metterla in guarda da quell'uomo, un uomo turbolento e possessivo che ormai anche con lei era diventato così brusco e insofferente...per quegli stessi cavalli che le si facevano attorno bisognosi di cure e pretenziosi di ogni attenzione, ma che non la degnavano di uno sguardo non appena percepivano la sua tristezza.
Flora no, Flora era diversa, lei era la sola che sembrasse cogliere il dolore della giovane e che proprio in quei momenti le si strusciava addosso, sapendo farsi ancora più vicina. Una notte Clara l'aveva addirittura sognata che la guardava e intanto si allontanava passando sotto il filo spinato della recinzione del maneggio; ne era rimasta turbata...cos'era stata quella visione? la proiezione del suo identico desiderio di andarsene? il suo inconscio che faceva della scelta dell'animale un simbolo di una possibile vita diversa anche per lei? un'ispirazione? una profezia?

Non vi svelerò ovviamente quale sia stato il destino di Flora né tanto meno quello di Clara.
Qualche settimana dopo aver terminato la lettura del libro, mi sono casualmente imbattuta in una strana poesia di Umberto Saba dal titolo La capra e questo ha definitivamente spazzato via ogni mio preconcetto, costringendomi ad arrendermi all'idea (pur sempre stravagante) che persino nello sguardo languido e dolce di una capra l'uomo possa cogliere un riflesso del proprio sentire.

Ho parlato a una capra.
Era sola sul prato, era legata.
Sazia d’erba, bagnata
dalla pioggia, belava.

Quell’uguale belato era fraterno
al mio dolore. Ed io risposi, prima
per celia, poi perché il dolore è eterno,
ha una voce e non varia.

Questa voce sentiva
gemere in una capra solitaria.
In una capra dal viso semita
sentiva querelarsi ogni altro male,
ogni altra vita.

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