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sabato 9 dicembre 2017

Che fine ha fatto il cavallo di Troia?

Vaso greco, Cerveteri (Roma), 560 a.C.
Qualche settimana fa è rimbalzata un po' ovunque la notizia di una pubblicazione a dir poco curiosa. Di fatto, la tesi dell'autore, l'archeologo navale Francesco Tiboni, circolava da tempo tra gli studiosi, ma solo pochi mesi fa è stata data alle stampe.
La presa di Troia. Un inganno venuto dal mare, questo il titolo. Già, perché la rivoluzionaria conclusione cui Tiboni sarebbe giunto è proprio questa, che il famoso stratagemma ordito dall'insuperato ingegno di Odisseo nella speranza - poi effettivamente realizzatasi - di riuscire ad espugnare la città nemica dopo ben dieci anni di assedio, non avesse avuto nulla a che fare con un "cavallo"!

Dopo l'iniziale diffidenza (a noi classicisti incalliti certi cambiamenti non risultano mai troppo graditi...), ho cercato di prendere seriamente in considerazione la faccenda...del resto, non sarebbe la prima volta che un epocale equivoco dovuto ad un errore di traduzione crea improbabili scenari (ricordate il famoso "cammello" che per secoli ci si è ostinati a voler far passare dalla cruna di un ago?...beh, alla fine è risultato che si trattava di una "cima d'ormeggio").

Secondo Tiboni al tempo della formazione dei poemi omerici (nei quali, peraltro, c'è da precisare subito che non si parla dell'episodio, se non fugacemente in Odissea VIII 485-520) sarebbe stato a tutti evidente che ad essere abbandonata dai Greci sulla spiaggia fosse una nave di nome Hippos, imbarcazione mercantile di origine fenicia, piccola e leggera, dotata di polena a forma di testa equina.
L'idea del presunto quadrupede (hippos) avrebbe fatto il suo ingresso sulla scena in epoca post-omerica ad opera di una serie di autori di cui, purtroppo, nulla ci è giunto; le sue prime rappresentazioni risalgono, infatti, agli inizi del VII secolo a.C. e sono, dunque, di circa 150 anni successive all'epoca strettamente omerica.
L'errore sarebbe stato poi definitivamente convalidato nel passaggio dalla lingua greca alla lingua latina e a Virgilio sarebbe da imputare la responsabilità di averci consegnato in maniera definitiva e irrimediabile l'immagine che tutti conosciamo (di fatto, Eneide II 1-267 rimane la nostra unica fonte).

Iscrizione sulla Coppa di Nestore, una delle più antiche
testimonianze di scrittura alfabetica, risalente alla fine
dell'VIII secolo a.C.
Ora, pur chiudendo un occhio (o anche due...) di fronte al fatto che Tiboni si rammarica di non possedere il "testo originale scritto da Omero" (che, come noto, di scritto non ha lasciato nulla, perché la sua è una delle più meravigliose testimonianze di poesia orale) e di non aver potuto constatare se il termine in questione fosse stato scritto con la lettera iniziale maiuscola o minuscola (verifica di per sé impossibile, dato che tale distinzione fu introdotta tra l'VIII e il IX secolo d.C.)...
...che nei poemi il termine hippos non è mai impiegato per indicare una nave, nemmeno nel caso specifico di una nave fenicia (chiamata come tutte le altre con il consueto naus)...
...che nessun commentatore antico ha mai accennato ad una tale teoria e che neppure il Rocci (insuperato dizionario di greco) che di solito riporta anche la più rara accezione di un termine, quella che agli studenti non viene mai in mente di utilizzare, perché la loro mente non può capacitarsi della stramberia inaccettabile cui la loro traduzione darebbe vita se la impiegassero, e che, invece, salverebbe la loro versione dal disastro totale, insomma che neppure lui fa il minino accenno all'utilizzo del termine hippos nel significato di "nave"...
...nondimeno, mi sorge spontaneo sollevare qualche obiezione.

In base a quanto sostenuto dall'archeologo, il fatto stesso che Omero parlasse di un dourateos hippos (ossia di un hippos assemblato con "assi di legno con cui solitamente si realizzava una nave") e l'utilizzo che Virgilio fece di una serie di tecnicismi linguistici da cantieristica navale in merito alla costruzione del monumentale manufatto propenderebbero fortemente a sostegno della sua tesi.
Ma, se si fosse trattato davvero di una nave, che bisogno ci sarebbe stato di specificare come era stata fabbricata? E ancora, non era inevitabile che si ricorresse a quelle competenze specifiche, dato che le navi erano le opere mobili più grandi e complesse che i Greci sapevano costruire con il legno?

Certo, nel doppio fondo della stiva di un'imbarcazione sarebbe stato più logico nascondere degli uomini.
Ma in questo caso non sarebbe stato ancora più imperdonabile da parte dei Troiani non controllare l'interno della suddetta imbarcazione, spingerla su fino alle porte della città e abbattere parte della cinta muraria per introdurla nella rocca, invece di svuotarla delle eventuali ricchezze in essa contenute, dato che quel tipo di nave veniva a quanto pare impiegata per il trasporto di merci preziose, oltre che per la riscossione dei tributi?

Forse, la verosimiglianza non è l'elemento giusto da ricercare in un poema epico...men che meno in un episodio come questo nel quale si racconta che il sacerdote Laocoonte, dopo aver osato mettere in guardia i concittadini e aver colpito il ventre del misterioso hippos con una lancia, fu stritolato insieme ai suoi figli da due giganteschi serpenti marini improvvisamente usciti dalle acque del mare.

Insomma, per quanto mi riguarda, credo che continuerò a immaginare l'hippos di omerica memoria come un mastodontico animale, conservando comunque una profonda ammirazione per il professor Tiboni per aver dimostrato che gli antichi non hanno ancora finito di far parlare di sé e che forse mai finiranno di farlo!

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