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sabato 22 aprile 2017

Tradizione: i fili della vita

Corrispondenze, di Laura Torresani
 
«Mi raccomando, mentre studiate, leggete e ripetete sempre ad alta voce. Solo così potete memorizzare i contenuti che state imparando».
Queste erano le indicazioni che meglio ricordo tra quelle che le professoresse ci consegnavano, quando durante gli anni delle scuole medie ci assegnavano i compiti a casa.
Così, dopo la pausa pranzo, raggruppavo libri e quaderni, e salivo nell'appartamento della nonna Dina per iniziare il mio pomeriggio di studio e farle compagnia, mentre lei filava la lana. Cominciavo il rito sempre con gli stessi passaggi, lettura e ripetizione ad alta voce, come la professoressa aveva scandito a chiare lettere nel suo "comandamento" poche ore prima a lezione.

Se uno spettatore avesse visto la composizione dall'esterno, avrebbe pensato che la nipote e la nonna non avevano nulla da dirsi, perché appartenevano a due generazioni troppo lontane, quella dello smartphone e quella delle guerre mondiali.

In realtà, le cose non stavano esattamente così.
Quasi come per magia, quando iniziavo a ripetere ad alta voce la lezione di Storia in cui raccontavo di una guerra, che fosse quella dei trent'anni o quella del Peloponneso o altre ancora aveva poca importanza, in quell'istante con una precisa costanza mia nonna Dina riportava alla memoria la sua vicenda di bambina durante il secondo conflitto mondiale e non perdeva occasione per raccontarla alla sua follower più convinta.
Durante queste descrizioni, io rimanevo a bocca aperta, come se accadesse qualcosa di soprannaturale: quello che la nonna mi stava riportando era la Storia che trovavo scritta e raffigurata sul libro.
Mi sembra ieri quando, nella sua cucina con il profumo degli spaghetti al sugo rosso del pranzo e la luce del sole carico e calante del pomeriggio, mia nonna ripeteva le vicende della sua giovinezza in quel periodo, che la vedevano costretta a lavorare, ma anche a vivere nascosta a causa dei soldati nemici, che potevano anche abusare di loro ragazze e devastavano le campagne abruzzesi, affollate dai tralci delle viti e dai rami d’ulivo.

Tutto questo è rimasto solo un ricordo fino a qualche tempo fa, ma, a pensarci bene, da questo quadretto "nonna e nipote" si sono sprigionate in me alcune riflessioni.
Sicuramente ciò è legato a quello che studio e alla mia passione per il mondo classico. Mi sono innamorata di chi è vissuto molto prima di noi e della sua società. Infatti, leggendo la storia e informandomi sulla cultura di chi ci ha preceduti, mi sono profondamente convinta che l'uomo sia sempre lo stesso e le difficoltà in cui si trova immerso siano le medesime, pur nelle profonde differenze di epoche e contesti in cui vive.
Ogni uomo, perciò, è legato da un filo rosso a quello delle generazioni passate, non è un’isola. Questo filo si chiama tradizione. Tale parola, che noi uomini del 2017 troppo spesso non valorizziamo, perché consideriamo sinonimo di "vecchio" e di "fuori moda", invece ha un significato davvero prezioso. Essa, infatti, deriva dal latino, dal verbo tradere, che significa "consegnare".
Senza saperlo, viviamo dentro una lunghissima e affascinante staffetta, in cui ci sono continui passaggi di testimone e di consegne. È un processo involontario e connaturato nell’animo umano quello di lasciare in eredità il proprio passato a chi è futuro e ha ancora davanti a sé sogni da far divenire realtà. Purtroppo ne siamo inconsapevoli, ma il passato può consegnarci un immenso patrimonio, come una bussola preziosa per il nostro avvenire. E la cosa meravigliosa è che questo vale per la generazione dei nonni, ma anche per gli scritti che gli antichi ci hanno lasciato, proprio come si fa in una corrispondenza.

E' quello che vorrei vivere insieme a te, lettore, se avrai la pazienza e la passione per accompagnarmi in questo viaggio di scoperta.
Proprio come in una corrispondenza epistolare, in ogni lettera che ti scriverò sarà rinchiuso un tesoro intrecciato di vissuto e di sentimenti, di eventi e di storie, di incontri e di scontri, che, anche se realizzatisi secoli e secoli fa, contengono il sapore sempre giovane dell’uomo, che vive per consegnare il testimone a chi lo segue, per tenere teso il filo della tradizione e della vita che non smette di fiorire, di richiamarsi e di corrispondersi nell'emozionante scorrere del tempo.

Concludo con una citazione di una Professoressa innamorata del mondo classico, che ho avuto la fortuna di incontrare nel mio percorso universitario: «Gli alberi senza radici stanno in piedi, ma alla prima folata di vento cadono e in ogni caso muoiono». 

A caccia di radici buone e in attesa della prossima lettera...

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