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sabato 4 novembre 2017

Parole, parole e parole: soltanto parole?

Corrispondenze, di Laura Torresani

"Perciò che tra tutte le cose acconce a commuovere gli umani animi, che liberi sono, è grande la forza delle umane parole".
In un afoso pomeriggio della sessione estiva con il frinire delle cicale in sottofondo, in una di quelle giornate in cui il sole sembra non voler tramontare mai, mi sono imbattuta in queste parole.
Così si apre quella che è stata un'opera di capitale importanza per la formazione della lingua italiana, Le Prose della volgar lingua di Pietro Bembo. È stato amore a prima vista, sono stata catturata da quel verbo, commuovere, mettere in movimento, agitare.
Nel 1500 in un trattato che rifletteva intorno alla lingua, già nell’incipit veniva riservata una posizione di rilievo alla parola. L’autore afferma che grandissima è la forza delle parole nel mettere in movimento l’animo libero dell’uomo. Tutto ciò è splendido solo a pensarci: qualcosa di invisibile, concesso a tutti e così elementare come la parola è in grado di commuovere l’anima delle persone.

Di conseguenza si sono “agitate” in me alcune riflessioni, quasi una sorta di brain storming attorno alle grandi capacità della parola. In un tempo in cui l’emoticon sembra avere la meglio sulla telefonata oppure in cui i numeri paiono padroni del sapere, mentre le lettere sono faccenda per i nostalgici che amano occuparsi di cose passate, la parola e tutto il sistema di emozioni e condizioni che essa porta con sé hanno ancora qualcosa da dirci.
Se l’uomo è l’unica creatura che sulla Terra può comunicare attraverso questo mezzo, è evidente che la parola è un privilegio per la nostra specie. Se ancora oggi due innamorati si commuovono ancora di fronte ad una lettera d’amore, ad una dichiarazione o ad un semplice, ma profondo “Ti amo!” sussurrato all’orecchio, la potenzialità disarmante della parola ci dovrebbe davvero far riflettere. Se due genitori conservano ancora tra i loro ricordi più preziosi le prime parole dei loro figli, questo naturale atto è ancora in grado di commuovere le nostre profondità e il nostro essere uomini.

La parola non è solo questo, essa ha in serbo preziosità ancora più grandi. Infatti, può creare domande, emozioni, può dare forma a un pensiero, è in grado anche di procurare dispiaceri.
Chissà quante volte magari ci siamo addormentati, pensando a quell’espressione detta o sussurrata da qualcuno in quel giorno o anni prima. Tra i parecchi ricordi di alcuni cari parenti, talvolta, rimangono delle parole, consegnateci in momenti particolari. Si potrebbe proseguire all’infinito con una serie di esempi del genere.

Forse per deformazione o semplicemente per attitudine in quel brain storming mi sono soffermata in particolar modo sull’abilità interrogativa della parola.
Questa è una delle sue peculiarità che preferisco, perché la collego immediatamente alla letteratura: a cosa servono i testi tramandati da secoli, se non a farci riflettere, a educarci a porre i giusti interrogativi per trovarne poi le risposte? La Storia ci ha consegnato personaggi, discorsi, vicende, frasi, che noi abbiamo il diritto e il dovere di conservare e tramandare a nostra volta. Ancora oggi le parole di Socrate o i versi di Virgilio possono raccontare all’uomo della sua natura e hanno la capacità di muovere riflessioni e domande in e su di lui, possono insomma commuoverlo.

Chi l’avrebbe mai detto che ad un “esserino” tanto piccolo nell’universo, come è l’uomo, venisse concesso un dono così grande? La parola pronunciata o scritta può e deve avere ancora oggi uno spazio suo. Essa, infatti, nobilita l’uomo, lo rende ancora più consapevole di essere in possesso di qualcosa di speciale.
La parola ci tocca nel profondo, al punto giusto e con un filo rosso unisce il cuore e la mente. In fondo come potremmo non commuoverci dinnanzi a una così grande potenzialità umana?

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