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giovedì 30 aprile 2020

Le cose da salvare

Lei si chiama Ilaria, come me. Come me, è nata a Lodi, solo qualche anno più tardi. Di cognome fa Rossetti, come la bimba che fu per me l'amica migliore durante gli anni delle scuole elementari.
La fotografia l'ho scelta scorrendo tra quelle offerte dal web; mi è piaciuta tanto...la luce, il sorriso dolce, il colore della pelle cotta dall'abbronzatura...chissà, forse è la testimonianza di un bel viaggio o soltanto di una calda giornata di sole giù al fiume...magari a lei non piace neanche troppo, magari non rientra neppure tra quelle che salverebbe, se fosse costretta a scegliere...

Già, perché racconta di questo Le cose da salvare, che è recentemente valso alla mia giovane conterranea il riconoscimento del Premio Nazionale di Letteratura Neri Pozza; racconta di ciò che accade alle persone quando un evento drammatico irrompe inaspettato a strappare i fili delle loro storie, di come si possa tornare a riannodare quei fili, di quanto sia lacerante decidere cosa meriti di essere portato in salvo e cosa, al contrario, ci si possa permettere di lasciare indietro...ammesso che si possa davvero...
A strappare i fili della storia di Gabriele Maestrale, sessantaquattrenne professore in pensione, è il crollo improvviso del ponte che sovrastava imponente il balcone del suo appartamento, situato al quinto piano di un condominio di periferia. A squarciare la storia di Petra Capoani, giovane giornalista emergente alle prese con il suo primo importante lavoro, è la perdita della madre, portata via da un brutto male che l'ha a poco a poco divorata.

Non ho (ancora) letto gli altri libri di Ilaria e a questo suo ultimo lavoro confesso di essermi accostata incuriosita dai tanti commenti e dai brevi video di presentazione in cui quotidianamente mi imbattevo sui social; perché strano davvero è il percorso che ha accompagnato il romanzo al suo debutto nel mondo, un percorso "al contrario" che ne ha visto l'arrivo nelle librerie lo stesso giorno in cui ogni attività veniva per legge interrotta e la mia città, l'Italia tutta, piombavano in un limbo doloroso dal quale ancora fatichiamo a riemergere; un destino beffardo che pure, complice questo nostro tempo a dir poco surreale, pareva aver regalato al libro una posizione del tutto privilegiata e avergli affidato la missione speciale di farsi quanto mai prossimo a chiunque si fosse avventurato tra le sue pagine, non diversamente da Gabriele e da Petra alle prese con la necessità di fare il punto sulla propria esistenza, di accettarne la brutalità imparando a ricucirne i lembi, di recuperarne incanto e bellezza per tentare di riprogettare un domani.

E sono diventata Gabriele, ne ho indossato i panni sentendomi abitata dalla stessa angoscia. E, mentre la vita di fuori diveniva un nostalgico ricordo e quella di dentro si ingigantiva a dismisura fino a straripare confusa, senza ordine, senza direzione o prospettiva, come Gabriele tra le pareti di casa ho cercato e trovato protezione; al venir meno di ogni certezza ho lasciato che la mia certezza diventasse quello spazio familiare e misurabile nel quale mi muovo anche al buio, senza paura, un antidoto alla paura; uno spazio soffocante a volte, ma mio, ancora, ancora inalienabile; e come Gabriele, inerme davanti alla mia fragilità, ho cercato e trovato conforto negli oggetti, nella loro tangibile e rassicurante concretezza, nelle narrazioni di cui essi sanno farsi preziosi custodi, che sono parte di me non meno di quanto io mi senta profondamente parte di loro.
E mi sono specchiata in Petra, nel suo rabbioso disorientamento di fronte al precipitare degli eventi, nell'inadeguatezza impacciata con cui prova ad aggiustare il tiro del proprio muoversi nel mondo e ad adattarsi alle direzioni inaspettate verso cui la quotidianità di ciascuno pare a volte virare senza preavviso alcuno, nell'ostinato ancorarsi ai suoi ricordi di bambina, quando era tutto così gioioso, così naturale, così incontaminato.

Non sono riuscita a impedirmi di filtrare la lettura attraverso il mio sguardo incerto di queste settimane, non sono riuscita a evitare che dal flusso di pensieri e immagini che mi scorrevano sotto gli occhi fossero le parole legate a questa nostra realtà sconvolta e sconvolgente a schizzare fuori per prime, a mostrarmisi quasi in rilievo e a stamparmisi prepotenti nella mente...la morte abitava quelle stanze come un batterio...sentivo il suo contagio su ogni oggetto...com'era stata gestita l'emergenza...l'ospizio appena fuori città...i lutti si annidano nelle persone come parassiti...i cinesi del grande magazzino...parole scelte in tempi non sospetti, parole intrecciate per descrivere altri scenari, per narrare altri universi.
Ma non mi sono arresa e non ho smesso di cercare in quel flusso di pensieri e immagini altre parole che si agganciassero forti alla me stessa che ero stata prima di questa crepa, che continuavo ancora a essere...me lo dovevo e lo dovevo anche alla storia bella e potente che avevo tra le mani, dovevo permettere che si liberasse e si librasse...così, ho lasciato che il cuore si scaldasse leggendo di quello sguardo persistente che rimane attaccato alla schiena di chi se ne va farsi Anchise portato in salvo da Enea...della presunzione di riuscire a proteggere davvero ogni cosa dall'oblio diventare tracotanza e catapultarmi in un'altra era sui banchi del ginnasio...di quando alla radio passavano una canzone di Brassens e io sentivo risuonare la poesia di Faber...

Alla fine, all'elenco infinito delle cose che vorrei salvare, si sono aggiunti due nomi: quello di Gabriele, che evoca un vento impetuoso ed energico, e quello di Petra, che sa di caparbietà e cocciutaggine, ma anche di permanenza e affidabilità, certo di immobilismo.
E, mentre continuo a cercare le mie risposte, penso a lei, così dinamica, energica, impareggiabile equilibrista che si destreggia tra incontri di famiglia e impegni di lavoro, in costante movimento solo all'apparenza, bloccata dentro, come un albero rigido che la corrente troppo forte rischia di spezzare...e a lui, che si muove lento, discreto, nel silenzio del suo recesso, solo all'apparenza arreso e statico, incubatore di una vita nascosta piena di fermento, capace di farsi carico, di prendersi cura.
E, mentre mi convinco sempre di più che le risposte che troverò saranno solo le mie risposte, penso a quanti modi ci sono di amare e di essere famiglia, di sentirsi vivi e di morire, di perdersi e di salvarsi.

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