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sabato 6 agosto 2022

Tra passato e futuro. Il posto del cuore


La mia famiglia fece il suo debutto in Val Seriana ben 75 anni fa.

A pochi giorni dalla nascita, mia madre fu portata a Rovetta su consiglio del dottore. Si era ammalata di pertosse e l'aria della montagna le avrebbe di certo fatto bene.

Per i successivi 7 anni
trascorse lì i mesi estivi insieme a sua madre (la nonna Santina), mentre il padre (nonno Fortunato), che gestiva un'attività di vendita e riparazione di biciclette, le raggiungeva durante i fine settimana.

Dopo qualche estate trascorsa in colonia, dai 14 fino ai 17 anni tornò in valle. A portarla con sé era il nonno, perché entrambi i genitori erano impegnati con il negozio giù in città. Burbero e di poche parole, in barba alla rigorosa suddivisione dei ruoli e delle competenze che ci si aspetterebbe assolutamente condivisa da un uomo della sua epoca, nonno Orazio provvedeva alla spesa, cucinava e spesso la mattina andava a raccogliere grandi mazzi di ciclamini (allora non era vietato dalla legge...) che profumassero le stanze; ma, soprattutto, gestiva completamente da solo la nipote nel pieno dell'adolescenza (impresa non da poco, allora esattamente come ora).

A esclusione di qualche breve soggiorno tra Songavazzo, Fino del Monte e Rovetta, fu Onore il paese nel quale nonno e nipote misero radici. Un'unica strada per raggiungerlo e per ripartirne, un ponticello al suo ingresso, quattro vie intorno alla chiesa, pochi passi per trovarsi subito immersi nel verde delle pinete tutt'intorno.

Mamma era una ragazzetta sveglia e spigliata. Alloggiavano nella trattoria di Piazza Pozzo e spesso il nonno doveva andare a recuperarla, perché si attardava in agguerrite partite a carte con gli attendenti degli ufficiali (le pendici del monte Varro ospitavano un poligono di tiro dell’Artiglieria Militare e i soldati ci andavano per le esercitazioni). Una volta sparì per un'intera giornata; feriti nell'orgoglio perché in paese nessuno credeva che sarebbero riusciti ad arrivare fino ai piedi della Presolana, i ragazzi e le ragazze della sua comitiva avevano raccolto la sfida, e tra sentieri e scorciatoie alla Presolana ci arrivarono davvero. Non riuscirono a scattare nessuna foto da mostrare agli scettici Onoresi, perché si erano dimenticati il rullino, ma il ricordo dell'impresa rimase indelebile nelle loro menti, come il sapore del latte appena munto, su, in baita.

Nel 1973 nacqui io e Onore tornò a essere la meta privilegiata per le nostre vacanze. I miei genitori cercavano una località di montagna dove fuggire alle torride estati della pianura, ma che fosse sufficientemente vicina per consentire a papà di fare la stessa vita da pendolare che aveva fatto nonno Fortunato.

Per 8 anni vivemmo in uno dei primi edifici che s'incontrano entrando in paese, lungo una delle tre vie che si diramano dal ponticello. Il mio mondo di bimba era fatto di piccole cose: qualche passeggiata, le immancabili soste alla giostrina a pochi metri da casa, le torte per il mio compleanno (che, cadendo di luglio, non mi concedeva festicciole coi compagni di classe). Ma ricordo (come fosse ieri!) il mio sguardo sognante, puntato dal balcone in direzione della parte alta del paese, su quel piazzale che la sera si animava di musica e colori, un mondo inesplorato che prometteva meraviglie.

Poi ci trasferimmo e il caso volle che andassimo ad abitare proprio a ridosso di quel magico spiazzo vicino alle scuole elementari, che all'inizio di ogni stagione si riempiva di un grande palcoscenico e di lunghe panche di legno.

Il mattino del nostro primo giorno in quella nuova abitazione, alcuni ragazzini giocavano a pallone dentro al piazzale e un tiro mal calibrato finì dritto contro la finestra della nostra sala da pranzo, mandando in frantumi il vetro. E così feci la conoscenza di alcuni di quelli che, senza immaginarlo allora, qualche annetto più tardi sarebbero diventati gli amici con i quali avrei condiviso tanti splendidi momenti, com'era stato per la mamma prima di me.

Rimanemmo in quell'appartamento dal 1980 al 2002.

Il figlio più piccolo dei proprietari divenne per me e per mia sorella il fratello di mezzo che non avevamo, e per moltissimo tempo in quei lunghi mesi estivi condividemmo giochi e avventure di ogni genere, versando, noi che ce ne andavamo e lui che rimaneva, fiumi di lacrime al momento di separarci a vacanze terminate.

Gli anni passarono. A poco a poco le camere in cui dormivano i nonni rimasero vuote.

Finché una di quelle camere non iniziò a essere occupata dal ragazzo che ogni tanto saliva a trovarmi e che poi è diventato mio marito. In realtà lui era abbastanza diffidente, un po' perché abituato ai panorami trentini, un po' forse perché sottilmente geloso di tutta la vita che condividevo con quei luoghi e i suoi abitanti, dalla quale non poteva che sentirsi in qualche modo escluso. Ma noi donne sappiamo essere molto persuasive e anche lui ha imparato ad amare le mie montagne. Ora sono anche le sue.

Sono trascorsi 18 anni dalla nascita della nostra prima figlia e ora di figlie ne abbiamo tre.

Nel frattempo abbiamo di nuovo cambiato sistemazione e di nuovo abbiamo trovato una famiglia che ci ha accolto e che è pian piano diventata anche lei un po' parte della nostra.

Il paese è cambiato molto. Nonno Orazio stenterebbe a riconoscerlo. Le sue vie sono diventate molte più di quattro e l'edilizia a volte sconsiderata ne ha trasformato le sembianze, moltiplicando i complessi abitativi e le villette. Ora non sono più sufficienti pochi passi per godere della verde frescura delle pinete.

Eppure, per noi, Onore resta sempre Onore.

Una seconda casa, fatta non solo di muri, ma di nomi e di volti, da ritrovare di stagione in stagione, o da ricordare perché partiti per un viaggio tutto loro, come i miei nonni.

Una casa di cui intuisci già i profumi e i sapori all'uscita delle gallerie che imbocchi con gli occhi pieni delle distese di riso e di granturco, e da cui esci con le prime cime dolci che si fanno incontro rapide, annunciando che la tua valle è vicina. Ed è una festa.

Una casa di cui ormai conosci ogni angolo, di cui hai indagato ogni anfratto. Che detta il ritmo delle prime passeggiate...il Falecchio per scaldare i motori...la Val di Tede da percorrere rigorosamente dopo una nottata di violenti temporali così che l'aria frizzante del mattino tenga a bada i tafani nervosi. Che rimane lì, pronta ad accoglierti stanco al ritorno dalle escursioni in giro per le altre valli...quelle fatte e rifatte, e che è sempre un piacere ripercorrere, sapendo bene il sentiero, i tratti su cui si arranca e quelli che regalano sollievo al respiro e incanto allo sguardo...quelle nuove da studiare e provare, con la curiosità mai sazia di chi sente che “non è estate davvero, senza la montagna”.

Una casa che ogni volta lasci con un nodo alla gola...l'auto che si avvia lenta carica di valigie e di mille ricordi, la malinconia che ti stringe lo stomaco, gli angoli della bocca che tremano un po', il silenzio che accompagna le prime curve. È un attimo. Poi la malinconia cede il posto alla dolcezza, perché sai che presto tornerai e loro, le tue montagne, saranno lì ad aspettarti.

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