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sabato 15 ottobre 2016

Indefinibile e intramontabile...storia di una parola speciale

Chissà quante volte da piccoli vi sarà capitato di scrutare le collezioni di classici che con ogni probabilità venivano religiosamente custodite in casa di nonni e genitori; da Cervantes a Dostoevskij, da Shakespeare a Dumas, chissà dai ripiani di quante librerie questi grandi della letteratura avranno fatto bella mostra di sé, conferendo prestigio a intere stanze con la loro mera presenza.
E magari avrete anche provato un certo timore reverenziale di fronte a quei preziosi volumi rilegati in pelle, che sembrava quasi un sacrilegio sfiorare e che vi costringevano a domandarvi quando sareste diventati abbastanza grandi da poterne aprire uno, per scoprire finalmente cosa contenesse di tanto particolare da meritare un simile trattamento!

E' parola bellissima e complessa "classico"...una di quelle che d'istinto sembra di possedere e di conoscere da sempre, che riecheggiano con forza dentro ciascuno, smuovendo idee, memorie, emozioni...ma che, tuttavia, pare impossibile riuscire a definire.

Per noi tutti, classico non è solo un romanzo di Tolstoj o un racconto di Poe...lo è anche un concerto di Beethoven...classici sono i balletti che nel rispetto dei canoni di genere sono rappresentati sulle scene da eteree danzatrici in scarpette da punta e i vecchi film western in bianco e nero che hanno fatto la storia di un'epoca...classica è la cucina che affonda le sue radici nel folklore e nella tradizione di un paese o di una regione, come la foggia intramontabile di certi capi d'abbigliamento.
E poi ci sono gli antichi!...dire "mondo classico" o "civiltà classica" significa anche inequivocabilmente dire cultura greca e cultura latina, non diversamente da come lo stesso concetto di "classicismo" ha da sempre descritto la tendenza a riprendere e a imitare quei saperi specifici, facendone un vero e proprio oggetto di culto.

Come spiegare, dunque, una tale molteplicità di applicazioni? A cosa ricondurre una simile flessibilità? Forse, ancora una volta, conviene lasciar fare alla lingua!
C'è il verbo greco kalèo ("chiamo") all'origine di tutto: da esso vengono le Calende, il primo giorno del mese nel calendario romano, nel quale "si convocava" il popolo e gli si annunciavano le date di feste, giochi, celebrazioni...da esso vengono chiaro e chiarezza, che rimandano in prima istanza a "ciò che si sente in modo distinto", al "timbro squillante di una voce"...da esso viene chiesa (con tutti i suoi derivati...) che altro non è se non un "invito a raccogliersi" e il luogo stesso in cui ci si raccoglie...da esso viene classe che ci accompagna nel cuore vivo della nostra questione.
Il dizionario di latino traduce classis in due modi: o con "flotta" (e in riferimento a questo valore, classicum era "lo squillo della tromba da guerra", "il segnale di adunata", mentre classici erano "i soldati di mare") o con "classe di censo", ciascuna delle sei nelle quali il penultimo re di Roma, Servio Tullio, avrebbe distribuito l'intera cittadinanza sulla base del patrimonio e che venivano poi radunate ai comizi perché esprimessero il loro voto nell'elezione dei magistrati e in altri affari (allora classicus era "colui che invitava a raccolta con il suono del corno" e classici erano detti "i cittadini appartenenti al primo di questi ordini").

Ecco che allora comincia a delinearsi un filo rosso capace di uniformare le tante sfaccettature di questo termine così versatile; provando a tirare le somme, infatti, si potrebbe quasi dire che classico è qualcosa che "chiama a gran voce in attesa di una risposta", addirittura che è "la chiamata" e insieme "la risposta".
Classico è tutto ciò che ha un'autentica "vocazione di eternità", che a suo modo in ogni tempo ha continuato (e tutt'ora continua!) a sollecitare e a interpellare quelle dimensioni dell'uomo che hanno sempre avuto (e ancora hanno!) sete di quell'eternità, il suo gusto del bello, la sua urgenza di conoscere, il suo non poter fare a meno - a dispetto di tutto! - di essere in relazione.
E a sua volta classico è divenuto (e diventa!) tutto ciò che di epoca in epoca l'uomo ha riconosciuto degno di quella "pretesa di eterno", capace di risuonargli dentro e di soddisfare quelle urgenze e quei desideri primari...tutto ciò che egli ha voluto sopravvivesse ai secoli, che ha consacrato a modello di perfezione, che ha trasformato in tradizione condivisa in cui nulla si perda, ma il vecchio si riversi nel nuovo e con esso si confonda.

4 commenti:

  1. Grazie, Ila: davvero illuminante, fa riflettere.

    L'etimologia dovrebbe essere un approccio "altamente raccomandato", sempre. Ci fa capire ed apprezzare meglio quello che ci si presenta, facendoci sentire la forza ed il peso di infinite stratificazioni di esperienze e culture. Il peso delle parole.

    Diego

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    1. Non potrei essere più d'accordo! E' uno degli insegnamenti più grandi e forti che i miei studi mi hanno regalato...andare al principio, tornare alle radici, risalire alle origini...sempre affascinante, sempre sorprendente!
      Grazie a te!

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  2. E poi dicono che il latino e il greco non servono...

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    1. Forse lo dicono perchè non sanno di cosa parlano...C'è da sperarlo almeno...
      E poi dipende tutto dal concetto di "utilità" che si ha in mente...;-)

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