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venerdì 27 gennaio 2017

Quale memoria?

Un giorno di molti (moltissimi!) anni fa, fui invitata a cena a casa di un'amica insieme ad altri ragazzi della compagnia. La serata trascorse tranquilla e piacevole tra chiacchiere, confidenze e risate...finché non arrivò a salutarci il padre della nostra ospite...
Ogni tanto mi capita ancora di vederlo, anche se ormai abitiamo in due zone diverse della città e le occasioni d'incontro sono rare; ho sempre nutrito un grande affetto per lui e, a dire il vero, anche una certa soggezione...è una di quelle persone da cui non sai mai cosa aspettarti, capaci di sorprenderti, imprevedibili. Beh, per farla breve, anche quella volta non mancò di stupirci, perché all'improvviso se ne uscì chiedendoci a bruciapelo: "Israele o Palestina?".
Non so perché quell'episodio si sia scolpito indelebile nella mia mente; so che dopo poco smisi di pensarci, senza immaginare che in realtà quella domanda si era scavata il suo posto dentro di me e sarebbe rimasta lì in attesa di tornare a galla quando fosse stato il momento, senza sospettare che negli anni a venire essa avrebbe continuato ad interrogarmi più e più volte...

L'ultima in ordine di tempo risale a qualche mese fa, quando ho portato a termine la ri-lettura di Altai, opera del collettivo noto come Wu-Ming (lo stesso che nel 1999 aveva realizzato Q sotto lo pseudonimo di Luther Blisset). E' un testo a mio parere straordinario, entrato con prepotenza in quell'elenco di libri "preferiti" che fortunatamente non smette di allungarsi.
E' un romanzo che in realtà ne contiene molti...è intrigante e avventuroso, serrato nel ritmo narrativo, quasi una vicenda di spionaggio...è allo stesso tempo introspettivo e profondo, capace di restituire personaggi lacerati, costantemente in ricerca, meravigliosi nella loro complessa umanità, ancor più pregevole nelle pagine dedicate alle poche figure femminili presenti, discrete e silenziose, eppure incredibilmente salde, forti di quella saggezza lungimirante che permette loro di portare in salvo i destini degli uomini che le circondano, pur rimanendo in disparte.
Ma è soprattutto un romanzo storico, di quelli in cui la Storia è davvero protagonista. La scena è il Mediterraneo orientale, tra Venezia e Costantinopoli. Il clima è quello turbolento del '500, il fermento dei tempi che preannunciano cambiamenti epocali; tangibile è il contrasto tra l'atmosfera asfissiante che aleggia nella città lagunare e il respiro ampio e cosmopolita della capitale orientale, autentico crocevia di etnie e culture, crogiolo di lingue e religioni, meta dei profughi e dei perseguitati di tutta Europa, specie degli ebrei in fuga dalla penisola iberica e dall'Inquisizione. E' qui che Yossef Nasi, banchiere sefardita di origine portoghese, entrato da tempo nelle grazie del Sultano, fa di tutto per convincere il sovrano ad attaccare Cipro, cullando il sogno di fondarvi uno Stato per il popolo della diaspora, di costituirvi la tanto sospirata Terra Promessa.

Sappiamo dalla Storia ufficiale che la conquista dell'isola e di Famagosta (subito vanificate dalla sconfitta subita a Lepanto dalle forze turche per mano della coalizione cristiana alleata della Serenissima) furono letteralmente un bagno di sangue. Il libro indugia con dovizia di particolari sui dettagli più macabri e ripugnanti della carneficina, facendosi denuncia esplicita di ogni atto di guerra, tentando di scuotere dall'illusione che il farsi corresponsabili di immani atrocità non intacchi a lungo andare anche la purezza dei più grandi ideali, mettendo in guardia dal rischio di perdere la propria identità ogniqualvolta si cerchi di riaffermarla con la violenza.
Ciò che non sappiamo, invece, è se davvero Nasi avesse giocato un ruolo decisivo nell'organizzazione della spedizione contro Cipro (sembra piuttosto che il suo intervento - e soprattutto quello della zia Gracia - fosse stato diretto al ripopolamento della città di Tiberiade che rimase un forte centro di cultura ebraica per più di un secolo). Tuttavia, come non scorgere nei suoi vaneggiamenti utopistici l'eco del grande progetto sionista, come non leggere negli esiti drammatici del suo miraggio le degenerazioni di un messianismo politico troppo spesso travestito da imperialismo, come non cogliere il nonsenso di un sogno di libertà che pretenda di fondarsi su atti di forza?

"Israele!" avevo replicato allora, con convinzione, senza esitare...
Con gli anni, però, quella mia sentenza ha finito per suscitare in me tante altre domande, per rispondere alle quali tempo fa ho sentito l'esigenza di affidarmi alla scrittura.
A partire da oggi per qualche settimana, vi parlerò di questo lavoro che racchiude tanta parte delle mie passioni, tanta parte di ciò che sono...vi consegnerò di volta in volta alcune di quelle pagine, provando a raccontarvi in che modo sono nate, dove mi hanno condotto, cosa hanno significato e tuttora significano per la mia vita.
Inizio oggi, in questo sedicesimo Giorno della Memoria, perché non vedo occasione migliore per presentarvi una riflessione che tutta ruota intorno ai gradi temi del ricordo e della dimenticanza, e della difficoltà di conciliare l'uno e l'altra quando l'oggetto del dibattere è il dolore estremo causato dalla violenza più spietata...un viaggio che prende avvio proprio dall'impianto monumentale della rievocazione della Shoah, per poi fare un salto di molti secoli indietro nel tempo fino ad addentrarsi nelle pieghe più nascoste di due testi meravigliosi della drammaturgia classica, e infine tornare di nuovo al presente, quello del Sudafrica del dopo-apartheid.
Inizio così, lasciandovi alcune parole di Primo Levi, perché il suo nome sarà il primo che incontrerete in quelle righe. Sono parole forti che lo scrittore pronunciò nel corso di un'intervista rilasciata a Gad Lerner per l'Espresso nel 1984; parole dure che giunsero alla fine di un percorso personale molto sofferto e per le quali Levi si attirò aspre critiche e accuse di tradimento. "Bisogna che il baricentro d'Israele torni fra noi ebrei della diaspora", dichiarò e furono le parole oneste di chi, dopo aver visto l'inferno con i propri occhi, non poteva che prendere le distanze da quella che ormai era diventata la politica di conquista di una potenza militare e ricordare agli amici israeliani "che essere ebrei vuol dire un'altra cosa".

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Antigone ed Elettra di Sofocle: viaggio tra memoria e oblio della violenza I
...e buona lettura!

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