Al tempo scrivevo di Antigone e di Elettra e delle due omonime tragedie di Sofocle, alle quali avevo già dedicato la mia tesi di laurea e che allora indagavo nuovamente inseguendo il filo rosso della memoria (le pagine che vi lascio oggi ve le presentano, anche se leggerete diffusamente di ciascuna solo nelle prossime settimane).
"Lo diciamo a Liddy?" è il difficile interrogativo che apre la vicenda e al quale tre delle quattro sorelle Palmer provano a rispondere, indecise se rivelare all'unica di loro ancora ignara di tutto una preoccupante diceria che circola sul conto del suo futuro secondo marito...peccato che lo stesso interrogativo si ripresenti ancora più pressante a pochi paragrafi dalla conclusione, per l'insorgere di un'altra sconcertante verità che rischia di minare irrimediabilmente quello che nel frattempo si è trasformato in un matrimonio a tutti gli effetti.
Sagace, pungente, a tratti persino diabolica, Anne Fine accompagna il lettore nella parabola discendente di una famiglia apparentemente perfetta, tratteggiando sapientemente il progressivo sfaldarsi delle relazioni, l'inarrestabile logorarsi della fiducia, l'inevitabile crollo di ogni certezza, scoprendo dietro lo schermo delle formalità e delle convenzioni una realtà fatta di rimossi, bugie, silenzi calcolati e rivelazioni strategiche, opportunistiche alleanze e continui voltafaccia, sospetti, recriminazioni e cattiverie.
L'immediatezza dei dialoghi, il susseguirsi serrato dei colpi di scena, il precipitare vorticoso delle situazioni non danno tregua! Incrociando le dita ci si augura che le proprie sorelle (per chi ne ha!) non nascondano nei loro armadi altrettanti scheletri e, seppur ci si senta così colpevolmente coinvolti da stentare quasi a riconoscersi, si finisce per cedere rovinosamente alla tentazione di provare una soddisfazione perversa di fronte ad una ripicca andata a segno, di assaporare con pienezza il veleno di una freddura, di sperare che la vendetta più meschina venga alla fine consumata.
Ricordo che, mentre i miei occhi scivolavano rapidi e curiosi su quelle parole, la mia mente pensava alle rivalità parentali e alle discordie fraterne che la saggezza di tanti motti popolari e la freschezza dialettale di tanti proverbi hanno sempre ritratto.
E correva alle altre sorelle, quelle antiche: ad Antigone, dunque, incapace di riconoscersi nello sguardo di Ismene che pure le è così simile, e ad Elettra che allontana e disprezza in Crisotemi colei che le è più consanguinea;...agli altri esempi di fraternità distorte che si annidano nel passato delle loro rispettive dinastie: ai due fratelli di Antigone e Ismene, Eteocle e Polinice che si danno la morte a vicenda, e a Edipo, padre e fratello di tutti...ad Atreo e Tieste, progenitori di Elettra e Crisotemi, fratelli eternamente rivali;...e ancora più indietro, ripercorrendo il tempo e la storia, fino ad arrivare ai "miti di fondazione" di tanti popoli e culture (si pensi, ad esempio, agli dei Seth e Osiride, a Romolo e Remo, a Caino e Abele), racconti intrisi di violenze fratricide, autentici modelli archetipici in cui si è sempre riflessa l'universale percezione del vincolo di fratellanza/sorellanza come di quello più costitutivamente latore di conflittualità.
Eppure, non sembra affatto che il cinismo dilagante del romanzo sia davvero l'ultima parola della Fine sul tema; "una commedia agra" sottotitola il testo e, in effetti, come non avvertire, a mano a mano che la vicenda procede, il retrogusto amaro che arriva a smorzare anche i sorrisi più maligni, quel senso di sconfitta e di rammarico che si prova di fronte ad una perdita importante e che lascia ammutoliti e sconfitti? Ma perché?
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Venere di Willendorf, Austria XXII millennio a.C. circa |
Donne che arrivano a porsi al di fuori dei solchi tracciati da una tradizione millenaria, ma nelle quali continuano inevitabilmente a riecheggiare le suggestioni imprescindibili di quella tradizione, gli echi di tempi lontanissimi nei quali tutto ciò che ruotava intorno al mistero del femmineo rappresentava un fattore determinante nel processo di formazione culturale e coloro che incarnavano quel mistero (fossero sacerdotesse, guaritrici o madri) presiedevano a tutte le attività e a tutti i riti inerenti la vita e la morte...tempi nei quali tutto questo si rifletteva forse già a partire dal Paleolitico nel culto di un'unica divinità primordiale (nota appunto come Grande Madre) e in seguito di una miriade di altre figure divine, da quella direttamente emanate e come quella preposte al controllo di tutto ciò che gravitava nella sfera d'influenza delle sue naturali custodi (in primis, dunque, il potere generativo del ventre e della terra, la sessualità e la fertilità, ma anche la protezione e il nutrimento del corpo, e ancora i principi della trasformazione e del rinnovamento legati ai cicli biologici e naturali, l'alternanza delle stagioni...).
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Le donne, Gustav Klimt |
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Antigone ed Elettra di Sofocle: viaggio tra memoria e oblio della violenza II
...e buona lettura!
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